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Il male più grande nel caso si ripartisse: gli stadi a porte chiuse

Nessuno avrebbe mai immaginato di combattere una guerra di questo tipo, una guerra con un nemico invisibile e al momento imbattibile: il Coronavirus.

Questo maledetto virus è riuscito a fermare l’intero mondo sotto ogni aspetto ma la popolazione mondiale cerca di far fronte all’emergenza come meglio può. Anche il mondo del calcio è fermo ormai da quasi due mesi per via della drammatica situazione. I danni recati allo sport più bello del mondo sono stati tanti, e i vertici della UEFA, della Fifa e della FIGC hanno cercato di tamponare più danni possibili.  

Riprenderanno o no a giocare? Questo è stato l’interrogativo più grande da risolvere. Da una parte la comunità scientifica dice che è quasi impossibile giocare in queste condizioni, dall’altra i vertici del calcio che hanno cercato e continuano a cercare  in ogni modo una soluzione per poter riprendere. 

Alla fine, l’ipotesi più probabile è che si ritorni a giocare (c’è troppo da perdere in ballo). Al momento c’è il si per tornare ad allenarsi, anche senza una data ufficiale (probabile il 4 maggio, ma con allenamenti individuali). In campo, in campionato, il ritorno si ipotizza sia fra gli inizi di giugno. 

Prima di ricominciare a giocare, i giocatori saranno sottoposti a test fisici per valutare la propria condizione fisica e test specifici per chi è risultato positivo al Covid-19. Inoltre, anche test preventivi frequenti per monitorare sempre i possibili contagi. 

Quindi, da come si evince, le precauzioni nei confronti dei calciatori saranno tante. Purtroppo, però, non solo precauzioni per i calciatori. Infatti, anche per l’incolumità dei tifosi verrà adottata la misura più estrema: stadi a porte chiuse.

A malincuore è una delle poche notizie (quasi) certe degli ultimi tempi: se effettivamente si riprenderà a giocare, sarà a porte chiuse. Fino a quando? Fino a Natale (se la situazione migliora).

Un colpo al cuore ai tifosi che fanno dello stadio una seconda casa, ma una misura necessaria per contenere il virus e non danneggiare la popolazione. Una misura già adottata inizialmente per le prime partite quando il virus non si era così diffuso e quella che si creó fu una situazione davvero surreale (come un po’ all’esterno del mondo). Quello sicuramente non era calcio. Ma per il bene di tutti, dunque, si dovrà attendere per tornare allo stadio. 

L’emozione della “prima volta” di un bambino, accompagnato dal padre, di percorrere quel tragitto che lo porti da casa allo stadio, dovrà attendere.

I preparativi, fra striscioni e sciarpe, dovranno attendere.

Essere con amici o fra familiari mentre si canta a gran voce sugli spalti, dovrà attendere.

I cori organizzati per sostenere i propri undici, dovranno attendere. 

Esultare abbracciando il primo che ti è vicino ad un gol dovrà, dunque, attendere.

L’emozione dello stadio è un qualcosa di indescrivibile, ormai è considerato il dodicesimo uomo in campo. Ne sanno qualcosa a Napoli. Il San Paolo, infatti, è da sempre la spinta in più per gli azzurri. Un tempio per il popolo partenopeo. E con ogni probabilità saranno coloro che soffriranno di più l’assenza sugli spalti. Perché? Perché a Napoli si vive di pallone. Le altre squadre/città, non potranno mai capire il legame che c’è fra squadra e tifosi, mai. Forse, non si può nemmeno descrivere. 

Inoltre, a soffrire dell’assenza dei tifosi saranno anche i calciatori. Non sarà semplice affrontare gli avversi senza il calore del pubblico. Ogni partita, ogni gol non sarà più lo stesso senza la voce dei tifosi. 

Il calcio, quindi, si prepara come meglio può ad affrontare questa pandemia. Avremo, dunque, una situazione surreale anche in campo. Perché non è calcio senza tifosi sugli spalti. 

Preghiamo affinché tutto questo possa finire e intanto #iorestoacasa.

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