Il Guardiolismo e l’ Ancelottismo pari sono: e vi parrà strano ma converrà farsi un giro tra le statistiche, che non mentono mai, per accorgersi che ci sono analogie non nelle dinamiche, né in quella idea di calcio ch’ è diversa, ma nella verticalità, nella filosofia comune di andare ad attaccare l’ area avversaria, di osare per provare a far male agli altri e a regalare una soddisfazione a se stessa. Raccontano i numeri di questo semestre europeo – quello che appartiene ai cinque campionati più rilevanti del Vecchio Continente, che il tiki taka in salsa anglosassone, quella giostra che fa venire il mal di testa, s’ è inventato 463 conclusioni in Premier League e la risposta italiana, evidentemente meno redditizia come spiega l’ altra metà del cielo – rappresentata dalla perfezione – sta a quindici tiri più indietro, assai meno di uno a partita, pensandoci bene. Il Napoli ha una sua natura che non riesce ad esprimere compiutamente, perché è stridente il disavanzo tra la produzione di tiri (448) e gol realizzati: tra Champions ed Europa League sono undici in sette partite, sei dei quali dispensati a Stella Rossa e allo Zurigo.
EX PRIMATISTA. E poi appena un mese fa, dieci gennaio, dunque del riassunto della fase stagionale che riguarda il 2018, il Napoli è stata in cima alla classifica delle squadre europee con il maggior numero di occasioni da rete ed evidentemente tradito dalla rifinitura, dall’ ultimo passaggio, da un (im)percettibile errore sotto porta, da un oscuro nemico che s’ è opposto ed ha tradito. Il gol è divenuto una ossessione da domare e la sfida con lo Zurigo, quella di giovedì scorso, qualcosa ha guarito: però tra le pieghe di quel 3-1 (in trasfer La squadra di Guardiola ha concluso verso la porta 463 volte, quella di Ancelotti 448 ta) s’ è nascosto sistematicamente uno spreco esagerato.
CONTRADDIZIONE. Il Napoli formato esportazione non sa fare a meno delle proprie contraddizioni, emerse in maniera lampante anche in Champions League, in quel chiaroscuro che s’ è intravisto tra lo 0-0 di Belgrado e il 2-2 di Parigi, in uno dei santuari del calcio moderno e dinnanzi a fuoriclasse incapaci di ipnotizzare un attacco che poi si è illanguidito da solo, per esempio ad Anfield, nell’ ennesima serata in cui c’ è stata un’ occasione per mettersi le mani nei capelli (al 93′, con Milik) anche se al termine di una (quasi) mattanza.
CHI SONO. I venti gol internazionali di Mertens restano inchiodati nell’ album del quinquennio alle spalle e nel tridente storico c’ è dell’ altro: ci sono le quattordici reti di Insigne e le dodici di Callejon, andato in bianco per l’ intero girone di Champions e scongelatosi poi a Zurigo, con una percussione tutta sua. Ma il Napoli europeo sta aspettando anche Milik, per ora assente, proprio il centravanti che nel suo debutto da erede di Higuain, contro la Dinamo Kiev, decise di presentarsi con una doppietta, di testa, per conquistare immediatamente crediti che non sono (ovviamente) esauriti. I Guardiola e gli Ance lotti sanno aspettare.