Werner: “Napoli-Lipsia, le mie percentuali sul passaggio del turno. Attacco degli azzurri da sogno, ma gli toglierei un altro giocatore”

E’ un segreto prezioso, ma lui non sa nemmeno di custodirlo. Questa è la forza di Timo Werner. A 21 anni è il rappresentante della nuova generazione tedesca, quella che in Russia proverà a confermarsi campione del Mondo nonostante gli addii di Klose, Lahm e Schweinsteiger. Sarà lui il titolare in attacco eppure, benché se ne parlasse bene da anni, Timo fino all’ inizio della scorsa stagione non era ancora esploso. In tre tornei da titolare a Stoccarda aveva segnato in Bundesliga prima 4, poi 3 e infine 6 gol. Serviva il salto di qualità che, all’ improvviso, è arrivato. Passato al Lipsia ha chiuso la scorsa stagione con 21 gol in campionato. Lo scatto il 25 novembre 2016. Col Friburgo Werner (che nelle ultime 7 gare aveva segnato appena 2 gol) realizza una doppietta e arriva a quota 7 in campionato. Mai aveva segnato tanto prima. «Mi sono detto che se anche non avessi più fatto gol avrei chiuso il campionato con il mio record personale». Un pensiero confortante, che lo ha sbloccato: nelle successive 19 gare ha infatti segnato 14 volte. Eppure dice di non saper spiegare la propria esplosione. «Se sapessi qual è il segreto lo farei pagare caro e non avrei più bisogno di giocare a calcio», scherza. Il segreto è proprio quello: la serenità trovata.

Ricorda i sui inizi? «Cominciai a 4 anni, nella squadra allenata da mio padre. A 8 sono passato allo Stoccarda, la squadra della mia città e del mio cuore. Ho cominciato per divertimento, volevo giocare in porta per buttarmi nelle pozze di fango ma mio padre, per fortuna, mi convinse a fare l’ attaccante».

Il suo idolo? «Mario Gomez. Quando vinse il campionato con lo Stoccarda (2007, ndr ) ero da poco entrato nelle giovanili del club, spesso andavo allo stadio e lui segnava sempre. Ero un bambino di 11 anni, le emozioni erano fortissime. Sognavo di diventare come lui e spero di essere l’ idolo di qualcuno come lui lo è stato per me. Per questo per me si è chiuso un cerchio quando ho potuto giocare con lui o perfino al posto suo in nazionale. Poi c’ è Sami Khedira. Ho giocato col fratello Rani, i nostri genitori si conoscono. Sami mi invitò a una partita benefica che avevo appena 17 anni. Quando dallo Stoccarda andò al Real Madrid realizzò quello che è il sogno di tutti».

Ricorda il primo bambino che ha visto con la sua maglia? «Sì. Giocavo ancora a Stoccarda. Un bimbo di 11 anni mi corse incontro, io ne avevo 17, non ero poi tanto più grande di lui. Quel giorno mi resi conto di aver raggiunto qualcosa».

Qual è la differenza fra la carriera che si sogna da bambini e la realtà? «Da piccoli si pensa che fare i calciatori sia la cosa più bella al mondo. Si sta a casa, di tanto in tanto si gioca a calcio, ma per il resto c’ è poco da fare. Ci si immagina sempre felici, anche perché, quando da piccoli si sogna, le immagini che vengono in mente sono le esultanze dopo i gol. Più si fa carriera però più aumentano le pressioni e le pretese. Degli altri, ma anche di se stessi. Non è facile capire che, sì, qualcosa l’ hai raggiunta, ma che non ti devi fermare. Io non mi accontentavo di essere professionista a 17 anni, volevo di più. Il modo di vivere il calcio è diverso».

In che senso? «Non basta più dare qualche calcio al pallone e divertirsi. Ora è un lavoro. Si hanno responsabilità. Verso i club che pagano, verso i compagni, verso i tifosi. Bisogna essere responsabili. Si è un punto di riferimento per i bambini. E poi ci sono i media. Più si gioca a un livello alto più si diventa personaggi pubblici. Bisogna fare molta, molta attenzione a quel che si dice e quel che si fa. Perché viene valutato tutto, anche il comportamento fuori dal campo».

La volevano tanti club, perché ha scelto il Lipsia? «Mi piaceva il progetto giovani. Sapevo di poter giocare più che non in un top club ma che la società era ugualmente ambiziosa. Credo sia stato il passo giusto nel momento giusto. Quando ho cominciato a segnare con continuità ho finalmente avuto la sensazione che avevo spesso avuto nelle giovanili: se sto bene e sono in fiducia è difficile fermarmi. E ora non divento matto se non segno per un paio di gare. So di saper far gol anche sotto pressione».

Perché è così difficile segnare sotto pressione? «Io ancora oggi realizzo più facilmente i gol difficili che quelli facili. Se si ha il tempo di pensare “come tiro? Dove tiro?” aumenta il rischio di sbagliare. Nelle occasioni difficili si è più istintivi. Se prima di calciare si pensa “devo segnare”, quel “devo” rischia di schiacciarti. Bisogna ripetersi “voglio segnare” e non “devo”».

Lei ha continuato a segnare anche quando i tifosi avversari l’ hanno presa di mira. La fischiavano perfino in nazionale… «Non mi hanno mai accolto con gli applausi, né quando giocavo con lo Stoccarda né ora a Lipsia. Per questo mi concentravo solo sul far gol, senza pensare ai motivi dei fischi».

In Europa League affronterete il Napoli: percentuali di vittoria? “Direi 70 per cento per loro. È bello confrontarsi con grandi squadre, ma, appena usciti dalla Champions, l’ obiettivo è fare più strada possibile in Europa League, per questo è un peccato averli pescati. Se sono primi in Serie A, davanti anche alla Juventus, un motivo c’ è. Anzi: non mi spiego ancora come abbiano fatto a uscire dalla Champions».

Chi teme in particolare? «Hamsik. Se potessi glielo toglierei. L’ attacco formato da Mertens, Callejon e Insigne è fortissimo, ma dietro subiscono poco. Sarà difficile far loro male senza subire le loro ripartenze. Se però facciamo bene a Napoli poi in casa possiamo battere chiunque».

Ai Mondiali dovrà sostituire Klose, lei cannoniere della Confederations Cup 2017: è più difficile rimpiazzare il miglior marcatore della storia del torneo? «No. Il mio obiettivo non è togliergli il record. Se potrò davvero partecipare ai Mondiali sarò felice di esserci, se poi dovessi segnare uno o due gol tanto meglio. Ma non mi faccio pressioni».

Fra quelli che ha segnato qual è il suo gol preferito? «Uno di quest’ anno all’ Amburgo. Calcio d’ angolo per loro, dopo un rinvio al limite della nostra area di rigore, prendo la palla e supero 2-3 avversari in velocità, resistendo anche di fisico. Arrivo fino alla loro area di rigore e segno con un tiro preciso. Solo dopo l’ esultanza mi sono reso conto di quanto mi sarei arrabbiato se, dopo una corsa di 70 metri, avessi sbagliato il tiro. Non ci avrei dormito. Per fortuna però prima di calciare non ho pensato a nulla, ero talmente in debito d’ ossigeno che non ne avevo la forza».

Sta avendo una carriera rapida: è difficile non montarsi la testa? «Ho da sempre un gruppo di amici che mi stanno vicino, la mia famiglia è normale. Più si diventa forti più si diventa famosi, ma fa parte del gioco, bisogna accettarlo. Però non credo di essere cambiato molto. Non ho mai pensato di andare all’ allenamento in elicottero o di fare qualche pazzia. È bello potersi permettere le cose, sapere di non dover stare attenti a ogni centesimo come tante altre persone. Mi piacciono le belle auto e gli orologi, ma non sono uno che spende il 75% dello stipendio. Devo rispettare la nomea degli abitanti di Stoccarda: siamo gente tirchia».

Fonte: Gazzetta dello Sport

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