Parenti serpenti. Sergio Aguero, che dall’ex suocero Maradona si è preso nel tempo carezze, insulti («è un vigliacco»), poi ancora apprezzamenti («assurdo non convocarlo in nazionale, Sampaoli vende fumo») arriva a Napoli facendo passerella all’aeroporto insieme ai compagni del City con un look italiano molto costoso, oltre duemila sterline a persona, pare, prima di imbucarsi nel lusso soffuso dell’hotel Vesuvio, davanti a una panorama caro al cittadino onorario più famoso. Ma non sarà una sfilata, quella di stasera al San Paolo, con il Napoli costretto a non perdere per non compromettere il cammino europeo. E molte pressioni e responsabilità gravano su Lorenzo Insigne, quella maglia numero 10 virtuale e quella possibilità di indossarla davvero, che Maradona ha commentato con un asciutto «se segna quanto me, la metta pure». Con l’ombra del mito alle spalle, la star del City e il piccolo tenore di Sarri si avviano a un duello a distanza che potrebbe decidere la partita. In questo girone di Champions finora hanno segnato un gol a testa, tutti e due al Feyenoord: Aguero a Rotterdam, Insigne a Napoli, in una partita che aveva permesso alla squadra di rialzare la testa dopo lo stop con lo Shakhtar. Ma questa sera, con il girone già vissuto a metà, ogni gol varrà doppio. Soprattutto per Insigne e il suo Napoli.
PREDESTINATO Il Kun e Lorenzo il Magnifico, già i soprannomi li tengono a distanza. L’argentino lo ha preso da un cartone animato al quale assomigliava da bambino, al napoletano lo hanno messo quelli che elogiano i suoi piedi educati in strada e contro il muro del palazzo, quando faceva impazzire i vicini di casa con la mania di palleggiare dall’alba al tramonto. Piedi educatissimi, quelli di Insigne, che aspettano di mettere l’impronta su un titolo, mentre il Kun ha già piazzato il suo marchio su parecchi trofei.
Ha eguagliato il miglior marcatore di sempre del City, Eric Brook, in celeste dal 1928 al
1939. Ha superato quota 50 nelle competizioni europee. Ha irriso il Brasile da ragazzino
nella semifinale olimpica di Pechino. Ha segnato uno dei gol più importanti del City, quello
che ha permesso al club di vincere il campionato inglese dopo 44 anni, nel 2012, con un finale thrilling. Guardiola definisce Aguero «una leggenda», Mourinho non ha mai nascosto la sua ammirazione per quello che adesso è un vicino di casa pericoloso. Aguero ha collezionato record da quando è stato il più giovane esordiente del calcio argentino. Mancano poche cose nella sua bacheca e una di queste è la Champions League. «Mi piacciono i numeri e mi piace stupire. Se raggiungerò quello che voglio, vorrà dire
che avrò lasciato il segno nella storia del calcio. Sono il Che Guevara del calcio moderno»,
ha detto. Più modestamente, settimane fa, Insigne si è lasciato andare e ha espresso un pensiero: «Questo potrebbe essere l’anno buono per lo scudetto».
MISTER CENTO Però non è detto che non pensi in grande, Insigne, anche se da ragazzino i club del Nord lo trovarono bravo ma troppo piccolo per la loro idea di calcio. Il genietto di Napoli è uno che ha carattere e non si lascia impressionare dalle difficoltà. A Verona ha risposto a muso duro ai tifosi che lo insultavano, e in generale ha sempre dimostrato
una certa verve. Anche con Sarri, quando lo lasciava in panchina sottoponendolo alla
prova del fuoco: la staffetta con un collega, che nel suo caso era Mertens. Il piccolo Lorenzo non ha il pedigree internazionale di Aguero ma il talento non gli manca, e nemmeno la capacità di brillare nei momenti decisivi: è in crescita e il Cies lo ha inserito, primo italiano,
nella lista dei giocatori che valgono più di cento milioni. In questa stagione europea (fase
a gironi) ha giocato più del rivale del City (236’ in Champions contro i 145 dell’argentino,
che in settembre è rimasto infortunato in un incidente capitato in taxi), ma non ha trovato
molti tocchi felici. Magari questa è la serata buona per battere l’ex parente di Maradona
e persino lo scetticismo del Mito.