Caro/a Napoli, ti scrivo per dirti che oggi, giorno degli innamorati, ho avuto te come mio primo pensiero.
Ero un bambino e illuminavi i miei occhi, riscaldavi il mio cuore e scrivevi i sogni più profondi nella mia fervida immaginazione. Aspettavo la domenica per vederti, meglio dire sentirti per radio. Si, una volta le partite si sentivano per radio e ci si innamorava della voce del radiocronista che urlava “gol” quando la tua squadra segnava. Napoli mio, hai preso tra le tue la mia mano, hai accompagnato la mia crescita senza chiedermi mai nulla se non un pò del mio cuore. Mi hai chiesto un briciolo d’amore, di passione da mischiare come un colore qualsiasi sulla tavolozza della vita. Io, però, ne ho fatto molto di più di un semplice disegno. Non mi sarebbe bastato colorare il cielo grigio della fredda Milano dove vivo con l’azzurro del mare, non mi sarebbe bastato immaginare la vetta del Vesuvio quando invece i miei occhi riflettevano la Madonnina. Ho sentito e avuto bisogno, invece, di indossarti come un cappotto per sentir meno la distanza, di tatuarti nella mia anima per sentir sempre la tua mano guidarmi, di imprimere con il fuoco il tuo nome nel mio cuore in modo che i nostri occhi potessero essere rivolti sempre verso lo stesso orizzonte. Ho dedicato, semplicemente, la mia vita a te sfoggiando fiero, come fossero valori aggiunti, i tuoi colori difendendo come l’ultimo dei samurai il tuo onore, come squadra e come città. L’amore è un sentimento totale che abbraccia tutte le arterie cognitive di un essere umano e, ineluttabilmente, articola le nostre emozioni in ogni direzione in cui lo sguardo riesce a fissare la sua attenzione. Napoli mio/a, ti ho indossato quando vincevi lo scudetto, non ho smesso di farlo quando iniziò il declino verso quello che sarebbe stato il baratro più buio potesse esistere: il fallimento. Ti ho indossato quando non c’era più nulla se non l’idea di quello che fosse il Calcio Napoli, ti ho indossato quando l’azzurro della tua maglia ritornava ad issarsi verso la luce della gloria. Ti ho indossato, sempre. Che poi, indossato non è nemmeno il termine più adatto. Ho letteralmente sostituito la mia pelle per vestirmi della tua, iniettandomi il tuo sangue e il conseguente DNA per potermi sentire, ancora più intensamente, parte di te. Napoli mio, insieme abbiamo pianto tanto, sia di tristezza che di gioia. Ogni emozione vissuta insieme mi ha percorso senza lasciarmi scampo e difesa, che si trattasse di una sconfitta o che si trattasse di una vittoria. Ti sei espanso in me con la forza di un uragano, lasciando sempre un fiore lì dove avevi creato una cicatrice e affrescando un ricordo per l’eternità lì dove, invece, avevi scritto la storia in una vittoria. Mi hai fatto conoscere quanto posso amare nella vita, che un sacrificio per nobili sentimenti è solo una goccia in mezzo al mare rispetto a quello che tu, senza chiedere nulla, hai offerto a me. Napoli mio/a, ti ho amato con uno stivale intero a dividerci. Sempre così, in latitanza. Nel mio cuore, però, ho iniziato a scrivere un diario. La penna eri tu, Napoli mio/a. Mi hai sempre confortato annullando la distanza che ci separa, hai sempre trovato la maniera di illuminarmi la giornata accarezzandomi l’anima. Perché il Napoli è Napoli e Napoli è il Napoli. Non chiedetemi mai se voglio più bene a mia madre o a mio padre, chiedetemi invece quanto amo i miei genitori. Lo stesso vale per te, per noi che abbiamo scritto nelle nostre vite qualcosa di diverso. Abbiamo scelto l’amore, il sorriso e l’allegria, la passione e la voglia di sognare lottando e di vivere giorno per giorno. Napoli mio/a, forse siamo pazzi o forse stiamo immaginando un mondo che non esiste. Se così fosse, però, non mi svegliate. E’ l’unico caso in cui preferisco la dolce illusione di un’utopia alla tragica immagine devastata della realtà. Penso a te e capisco che rappresenti tutto ciò che amo e sono. Sei l’azzurro del cielo, dell’orizzonte dove guardare al domani, del mare dove tuffarmi in estate e l’allegria che, nei vichi e non solo, esplode nel sorriso più bello della vita. Napoli mia, sei storia dimenticata, cultura non apprezzata, cartolina di un mondo che non c’è più e spot di una verità distorta, comoda e provinciale. Non è sufficiente questo, però, a farti abbassare il capo. Rigogliosa e forte risorgi da te stessa ogni volta con una luce più intensa, come se volessi stracciare l’ipocrisia arrogante, ignorante e razzista di chi, in fondo, ha iniziato a “valere” solo dal momento in cui ha soffocato te, assassinando la giustizia.
Napoli mio, ora tu sei a Madrid. Sei nella terra di Re Carlo 3° di Borbone. La storia intreccia i propri fili, ancora una volta, mischiando il sacro ed il profano. Napoli, la città più spagnola d’Italia nella città più napoletana di Spagna per scrivere la storia, ancora una volta. Non esisterà distanza, che siano 2155 o che siano 1580 i chilometri a dividerci. Il tuo popolo è con te, in quei più di 10000 tifosi che ti abbracceranno a Madrid, in coloro che all’aeroporto ti hanno salutato offrendoti lo stesso cuore che tu, da sempre e per sempre, hai regalato a loro, a noi, a me. Ti amavo quando eri in C, ti amo oggi che sei in Champions, ti amerò domani ovunque tu sia.
Non sempre l’amore si può spiegare, non sempre l’amore è quello “ortodosso”. Oggi, giorno degli innamorati, Napoli mio/a ho pensato a te. A te che, pensando a domani ed al 7 marzo, “scetannome ‘a sti suonne, mme faje chiagnere pe’ te…”