Cuore e testa: senza lanciare la monetina in aria, ma andando a leggere in quel vuoto che circonda ognuno (di loro) per riportarlo in terra. Ricostruire il Napoli è un esercizio complesso e stavolta bisognerà spingersi al di là del 4-2-3-1, andando a scavare nell’anima di se stessi, scovando le risorse naturali che appartengono a una squadra a tratti maestosa e spesso sontuoso: c’è del buono, nel passato, ed è scritto mica sul bagnasciuga, ma nell’archivio della stagione appena passata, l’ultima, quello ch’è scolpito da una serie di imprese indiscutibili – il Borussia Dortmund, l’Inter, il Milan, la Juventus, la Roma, la Fiorentina – prove di forza e di grande gioco contro quei «top club» contro i quali il football è emerso nella sua accezione più spettacolare.
IL MESSAGGIO. “Ragazzi, coraggio: io so quello che sta succedendo e lo sapete anche voi, ma dobbiamo uscirne” . La domenica è una giornataccia per provare a tuffarsi tra le pieghe e i programmi non cambiano per una sconfitta, non secondo il codice-Benitez, che è uomo tutto d’un pezzo, poco incline all’isterismo, votato alle riflessioni ed a principi rispettosi di quei ragazzi che sono però già uomini ed ai quali non si nega certo il riposo già annunciato per una sconfitta: un anno fa, di questi tempi, la strategia fu identica e il percorso, che stavolta è accidentato, introduceva alla «luna di miele».
MANAGER . Gli allenatori, che a modo loro devono essere anche manager, hanno modelli di riflessione differenti, non ascoltano la pancia ma il cervello, osservano e decompongono: vero, otto palle-gol nel contesto di trentatré azioni offensive rifinite con conclusioni; verissimo, sessantacinque per cento di possesso palla, dunque una dimensione che, persino statisticamente, è destinata quasi meccanicamente a produrre risultati; e però inattaccabile, ecco la sentenza: Napoli 0, Chievo 1 e dunque guai restare in superficie.
L’ANALISI. Il martedì è (nell’agenda attuale) destinato al dialogo – alla chiacchierata – e stavolta Benitez riparte dai concetti già espressi: resettare il passato è un impegno collettivo, per riuscire a concedersi il futuro; e poi ragionare da gruppo, non da solisti, afferrare le partite e tenerle incollate alla squadra e non ad una generosa tendenza a personalizzare le giocate, come tentato da Mertens in quel confuso rush finale così diverso da Marassi.
DOUBLE FACE. La differenza è in quel quarto d’ora, magari venti minuti, tra il Genoa ed il Chievo e in uno spaccato entro cui sembrano paradossalmente convivere due Napoli, sostanzialmente diversi: uno lucidamente all’assalto, con il rispetto delle consegne (tranne nell’anarchia di Zuniga) che autorizza a pressare sino a schiacchiare l’avversario; l’altro, caoticamente proteso a sgretolarsi nella propria identità (frutto pure quello della generosità e della voracità di riuscire nell’impresa), però incapace di riuscire a reggere le coordinate attraverso le quali si può produrre superiorità tecnica e anche numerica.
LA CONCLUSIONE. Parliamone e però attraverso una premessa: mica per cercare un capro espiatorio, o un colpevole, ma un’analisi a tutto campo che mira a restituire al Napoli la sua natura e almeno il sorriso.
Fonte: A. Giordano, Corriere dello Sport