Nella bellissima cornice del “Nettuno Lounge Beach” di Torre Annunziata da poco si è conclusa la presentazione del libro di Marco Bellinazzo “La fine dal calcio italiano, perché siamo fuori dai mondiali e come possiamo tornarci da protagonisti”.
E lo stesso giornalista, responsabile dello sport & business per Il Sole 24 Ore, quest’oggi ha risposto alle domande dei giornalisti presenti all’evento (nella foto con Gianluca Monti, collega della Gazzetta dello Sport):
Sul suo libro uscito ieri “La fine dal calcio italiano”?
“Questo libro nasce dall’esigenza di un cambio epocale dopo la debacle della non qualificazione ai Mondiali in Russia ai danni della Svezia”.
Da dove dobbiamo ripartire: dalle giovanili oppure dagli stadi?
“Vi racconto una delle tante storie, vi spiego come è nata la norma il 10% degli utili che dovrebbe essere speso per i vivai, che alla fine si è rivelata utile per altro, questa legge alla fine è servita semplicemente per scaricare gli utili”.
Cosa pensi dell’aggiunta delle seconde squadre?
“Sono favorevole alle seconde squadre, tempo fa ero a cena con la Roma (Totti, Monchi ecc…) e lo stesso dirigente della società giallorossa, famoso per il lavoro svolto al Siviglia, mi ha fatto capire che sono importanti dato che i ragazzi dai 15 ai 20 anni possono giocare in queste squadre e all’occorrenza giocare con le prime squadre come succede anche in Spagna da tempo…”.
Sui diritti televisivi per il prossimo triennio della Serie A?
“Sono stati deprezzati i prodotti. Oggi nemmeno con il volunteer agreement una squadra Italia può permettersi Cristiano Ronaldo. I diritti hanno causato ricchezza e problemi al calcio italiano, nonostante il nostro sia stato il primo a godere di tali diritti. Il giocattolo poi si è rotto perché negli altri campionati hanno investito meglio attraverso i soldi delle tv. La Francia ha venduto diritti a 1.5 miliardi fino al 2024, noi siamo rimasti dove eravamo rimanendo alle cifre dello scorso triennio. Le carenze sul calcio italiano hanno inciso pure sui diritti che sono andati a calare”.
Perché in Italia è così difficile creare una serie di stadi di livello? Quanto potrebbe cambiare il fatturato del Napoli con uno stadio di proprietà?
“Negli ultimi 15 anni in Europa sono stati costruiti 157 stadi, in Italia solo 3 con un investimento di appena 200 milioni.
Se si riempissero gli stadi si potrebbero incassare altri 300 milioni e, per 10 anni, fanno 3 miliardi, così con questi soldi si sarebbero potuti costruire o ristrutturare il resto degli impianti. Anche i servizi sono importanti e le società ci vanno a perdere in investimenti. Non è un problema di norme, tanto che due anni fa un decreto fiscale ha concesso alle società che hanno ristrutturato uno stadio, nelle 5 ore precedenti e 3 ore successive ad una gara, di gestire attività commerciali. Nessuno però la applicherà mai perché è difficile poi mettere d’accordo gli ambulanti presenti fuori lo stadio, da Napoli a Milano.
Lo stadio della Juve, per esempio, crea un dislivello in Italia incassando ovviamente molto più delle altre squadre, ma è già uno stadio vecchio perché è nato da un progetto fatto 10 anni prima della creazione, quindi una nostra eccellenza è segno di debolezza”.
È cambiato qualcosa tra il libro precedente e questo a livello mondiale?
“Già in quel libro veniva in controluce la marginalità dell’Italia sia in Europa che a livello mondiale. Credo sia cambiato poco perché la crisi che delineavo in quel libro ha avuto un epilogo simile. Oggi il calcio sta diventano un business e quindi anche nelle parti del mondo in cui il calcio sembra uno sport secondario, stanno investendo tanto come in India o Cina. Fra poco saremo la serie C del calcio mondiale”.
“Scelte coraggiose che dovrebbe fare Adl”: il Napoli investe poco nel territorio e nel marketing mondiale. Che ne pensa?
“De Laurentiis ha fatto molto bene per il Napoli, così come il contrario. Lotito per esempio andrebbe studiato perché non ha messo un euro per la Lazio, ma con il marketing ha guadagnato circa 30 milioni.
Nel modello SET vi sono tre squadre, le altre a livello patriarcale sono destinale al fallimento. Un investimento di un centro sportivo non è nei piani di Adl, gli interessa solo comprare e fare plusvalenze sui calciatori. Il Napoli, invece, dovrebbe fare da promotore territoriale per tutto il mezzogiorno, investendo sul vivaio circa 30 milioni”.
Sarebbe importante riprendere il futuro delle categorie minori?
“Io sono molto più preoccupato di quello che è successo in serie C (80 punti di penalizzazione perché le società non riuscivano a pagare gli stipendi) e serie B del Mondiale.
Hanno fatto delle riforme e anche male. Dal 1 luglio 2017 i soldi non possono andare più ai club ma alla FIGC per investire. Questi però sono bloccati e quindi questo ha portato ad una miriade di punti di penalizzazione. Anche da lì bisognerebbe ripartire”.
In Italia c’è una dipendenza troppo forte dalle tv (la Juve fattura il 54% dagli introiti televisivi, il Napoli addirittura oltre il 70). Perché in Italia va così?
“Il presidente del Napoli ha detto una cosa molto grave cioè che il Napoli nel 2018 perderà 15 milioni. Il Napoli però ha un fatturato strutturale (tv, parte commerciale, stadio) di circa 150 milioni che da 7 anni non cresce. Il gap strutturale è ampissimo, di 40-45 milioni. Questo fa pensare che questa società se non fa la Champions ha problemi seri, perché non ha investito in medio-lungo termine. Gli ingaggi sono troppo alti e così non puoi spendere tantissimo sulle altre cose. La Juve ha più di 500 dipendenti, Roma e Inter sui 300. Il Napoli sui 50 e devi per forza fare plusvalenze per stare tranquillo. Il club azzurro guadagnerà circa 100 milioni e 15 li perderà per questa erosione. Se non fai investimenti importanti, il giocattolo si potrà rompere in futuro. Non si vuole investire per vendere facilmente un giorno.
Nel calcio industriale di oggi non puoi più affidarti alle intuizioni”.
Il motivo per cui il Napoli non ha patrimonializzato essendo una società liquida perché non ha immobili. Perché?
“È una realtà molto complicata. Se fai lo stadio di proprietà devi assicurare una sicurezza 24 ore su 24, sei succube di ogni tipo di responsabilità. Allora non bisogna prendere in giro nessuno con questo battibeccare tra il sindaco e il Napoli. Per fare dei seggiolini si spenderanno 25 milioni che andranno persi nel giro di pochi anni”.
I giovani devono essere il serbatoio per gli investimenti. Bisognava puntare alla costruzione degli impianti e alla Primavera per poter competere con il calcio estero?
“Si è fatto pochissimo per i vivai, come in altri paesi europei che però sono stati capaci di uscire dalle crisi. Noi ci siamo inventati i centri federali territoriali del tutto inutili. Bisognerebbe investire 8 milioni su 2-3 centri in tutta Italia e dare un’impronta calcistica puntando su quello”.
Non sarebbe il caso da ripartire dalla tecnica che è l’unica eccellenza che oggi conserva l’Italia, avendo i migliori allenatori del mondo? Quanto può pesare la potenza della Juve?
“Bisogna fare delle cose che ci permettano di ridurre il gap e la colpa grandissima dei club è non aver fatto i giusti passaggi”.
Quanto è importante che un imprenditore estero Suning investa in Italia?
“Bisogna solo ringraziarlo perché arrivano spesso in modo squattrinato, loro hanno investito seriamente.
Il Napoli ha 30milioni di fatturato e non cresce perché non va oltre il Gargano. Il Suning ha pttwnuto 100milioni di ricavi marketing creando un modello con nuovi manager e con 300 dipendenti, tante accademy in tutto il mondo. Sarà il nuovo antagonista della Juve, insieme alla Roma probabilmente. Il club partenopeo senza investimenti uscirà fuori dai giochi. Gli interisti hanno i cinesi buoni, i cugini quelli meno (ride ndr)”.
Dai nostri inviati al Nettuno di Torre Annunziata: Giuseppe D’Ambrosio e Ludovica Donnarumma