4 maggio-14 novembre. I 6 mesi di hybris del Napoli scudettato

“Sono le 22 e 37 minuti del giorno 4 maggio 2023. Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia leggendaria”. Con questa frase, il radiocronista Rai Francesco Repice annunciava l’aritmetica vittoria dello scudetto da parte del Napoli. È il momento più alto dell’incredibile stagione 2022-23 dei partenopei, in cui un gruppo guidato magistralmente da Luciano Spalletti ha dimostrato di poter stravolgere qualsiasi legge non scritta del calcio italiano. Soprattutto, si tratta del perfetto step per potersi affermare definitivamente come uno dei principali club d’Europa. Gli ultimi 6 mesi in casa azzurra hanno lasciato intendere a qualche mente più sospettosa che quei successi siano frutto di una congiunzione astrale. Chiaramente, le cose sono parecchio più complesse, ed un dominio come quello non può essere spiegato cl termine fortuna. Però, una parola per descrivere la condizione dirigenziale del Napoli potrebbe esserci, ovvero hybris.

Citando la definizione del Vocabolario Treccani, la hybris è “nella cultura greca antica, la personificazione della prevaricazione dell’uomo contro il volere divino: è l’orgoglio che, derivato dalla propria potenza o fortuna, si manifesta con un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze, e come tale viene punito dagli dèi direttamente o attraverso la condanna delle istituzioni terrene”. Immaginando le scelte della dirigenza nel corso di questi ultimi mesi, qualche pensiero infelice è legittimo porselo. La vittoria dello scudetto ha portato forse troppa consapevolezza di essere già diventati grandi, quando in questa stagione sarebbe stato meglio perseguire altri obiettivi.

L’aspetto più lampante degli errori di questa stagione è quello della scelta dell’allenatore. In sostituzione di Luciano Spalletti è arrivato, un po’ a sorpresa, Rudi Garcia. Stando alle dichiarazioni nel corso della presentazione del nuovo allenatore, Aurelio De Laurentiis ha motivato questa scelta dicendo di voler mantenere l’assetto della rosa e di proseguire con un mister che con il 4-3-3 ha fatto strike. La prima cosa da dire è che non tutti interpretano il calcio alla stessa maniera. Che due tecnici applichino lo stesso sistema di gioco, non fa sì che allenino allo stesso modo. Sono tante le modalità con cui può essere interpretato il 4-3-3, e quello di Spalletti è tra i più peculiari e studiati. L’ex Lille invece, sviluppa dei principi di gioco in alcuni casi parecchio diversi da quelli del suo collega.

Messa così, il presidente potrebbe aver pensato che questa squadra fosse invincibile e che potesse essere guidata da chiunque. Vero, i giocatori hanno dei meriti importanti nella vittoria del terzo scudetto, ma ritrovare una guida tecnica come Spalletti necessita di molto più ragionamento. Specie se si considera come i ragazzi tenessero al loro allenatore. Ad esempio, nel corso di più di un’intervista, Victor Osimhen ha ricordato come l’allenatore di Certaldo fosse “un genio”. Oltre a questo però, ci sono problemi anche relativi alle altissime aspettative nei confronti del Napoli. Perché uno scudetto vinto in quel modo non può passare inosservato, nemmeno al più fazioso degli appassionati di calcio.

Ereditare la panchina azzurra sarebbe stato un compito molto duro per chiunque. Rivivere una stagione su quel livello sarebbe stato ai limiti dell’impresa leggendaria (forse anche per Spalletti). Si è parlato di bissare lo scudetto, di raggiungere traguardi più importanti in Champions, tanto si è decantato sul Napoli nei mesi estivi. Tirando fuori un dato storico, dal dopoguerra ad oggi nessuna squadra geograficamente al di sotto del Po ha vinto almeno due scudetti consecutivamente. Escluse le strisciate, solo il Grande Torino è riuscito a conseguire tale successo. Juventus a parte, anche per Milan e Inter bisogna scavare a fondo per osservare tale consecutività di vittorie. I rossoneri in particolare, solo con Capello hanno vinto consecutivamente lo scudetto. Per i nerazzurri invece, triplete a parte, si è bissato con Helenio Herrera e negli anni 50. Dunque, si tratta perlopiù di formazioni leggendarie. 

Può essere un Napoli che, oggettivamente non dispone di quei fuoriclasse, a incasellare due scudetti consecutivi? Già solo pensare di riuscirci sarebbe un’impresa tra le più storiche della Serie A. Ciò che è più difficile di vincere nel calcio è ripetersi. Non doveva essere questo l’obiettivo stagionale del Napoli, ma quello di stabilizzarsi a certi livelli, anche non vincendo. Così facendo, ci sarebbe stata la possibilità di ritentare di vincere il tricolore nel giro di pochi anni. Non tutto è smarrito ovviamente, ma i fatti degli ultimi mesi potrebbero mettere a forte rischio questa possibilità. 

In particolare, la scelta di affidare la panchina a Walter Mazzarri lascia qualche dubbio su questi pensieri. Se a novembre, da campione d’Italia, la tua idea è quella di mandare all’aria sei mesi di lavoro per cercare di salvare il salvabile, significa che qualcosa non è andato bene. Rudi Garcia ha sicuramente commesso i suoi errori, ma si tratta dell’uomo sbagliato al posto sbagliato: non era lui l’uomo a cui affidare la guida del Napoli scudettato. Ma da qua a dire che tutte le colpe di questa squadra barcollante e poco convincente siano sue ce ne passa. E non sarà certamente un cambio in panchina a risolvere tale situazione.

Al momento, non è possibile delineare a cosa porterà il ritorno di un allenatore che ha dato un grosso contributo allo sviluppo di questo Napoli. Tanto può accadere che la squadra abbia uno scatto positivo, come può avvenire un crollo verticale. Ritornare ai fasti di un passato sicuramente più genuino, ma lontano per gli obiettivi posti da questa società, è un errore da non commettere. Quella squadra, spesso ricordata con nostalgia, era sì operaia e più battagliera, ma non aveva le pretese né tantomeno il valore del gruppo attuale. Da quel Napoli non si aspettava certamente lo scudetto, ma che potesse far divertire e soprattutto esaltare alle tante rimonte compiute. Per cui, le pretese vanno sicuramente abbassate, e questo significa un passo indietro (oppure uno stop) nel percorso di crescita.

Se ai tempi il post Mazzarri veniva considerato come “l’internazionalizzazione” del Napoli, un suo ritorno a cosa lascia pensare? Stando ad alcune indiscrezioni, De Laurentiis starebbe già contattando il nuovo tecnico per la prossima stagione. Chiunque esso sia, è chiaro che questa scelta sia figlia dell’ammissione di aver sbagliato, di essersi posti troppo in alto in estate. Cercare un traghettatore nel vero senso della parola, di quelli per cui ha la garanzia che lasceranno a giugno, è segno di questa hybris. Per giunta, con 2/3 di stagione ancora da svolgere. Probabilmente lo scudetto sarà già andato perso, ma ci sono ancora tante partite da giocare. Motivo per cui, la partenza di Walter sarà estremamente difficile.

La prima gara sarà contro l’Atalanta, dietro di un solo punto. Poi, sarà la volta della proibitiva trasferta di Champions a Madrid. Successivamente, il campionato prevede la sfida in casa contro la speditissima Inter e la trasferta contro la Juventus. In ultimo, ma non per importanza, l’ultima gara dei gironi di Champions contro lo Sporting Braga, che ora lascia qualche grattacapo, soprattutto se il Napoli non dovesse evolvere dalla brutta sconfitta rimediata contro l’Empoli. Mazzarri sa sicuramente come gestire la piazza e come rapportarsi, ma basterà il suo carisma a passare indenni questo ciclo di partite? Al momento, non si può dare una risposta certa. Bisognerà lasciar parlare il campo.

In ultimo, ma non per importanza, vanno citati altri errori dirigenziali. Cristiano Giuntoli non è stato rimpiazzato nel modo giusto. L’attuale Ds della Juventus era l’elemento perfetto per mantenere al meglio i rapporti tra la dirigenza e la squadra. Gli è successo un uomo di campo come Mauro Meluso, sul quale è anche difficile esprimere un giudizio, visto che è stato chiamato pochissimo in causa. Alcune voci suggeriscono che De Laurentiis voglia già dargli il ben servito. Inutile dire che anche questo sarebbe segno della hybris di un’estate vissuta troppo in cielo, in primis dalla presidenza. Il messaggio di questi giorni è chiaro: bisogna rimettere i piedi per terra. Cosa che, ora come ora, appare molto difficile. Ciò che più conta è di non perdere questo treno arrivato la scorsa annata: è meglio vivere uno scudetto dal vivo che rivederlo da uno schermo con la lacrimuccia agli occhi.

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