Simeone: “Mate, riti, scaramanzia, passioni e il rapporto con mio padre, vi racconto”

    Nell’episodio di Drive&Talk, format dove i giocatori del Napoli si raccontano mentre guidano, rispondendo a domande personali. Il protagonista di oggi è Giovanni Simeone, attaccante azzurro, elemento fondamentale della rosa partenopea.

    Ecco le parole dell’argentino: “Solitamente mi sveglio alle 8:00, anche se l’allenamento è alle 11:00 e dobbiamo essere lì alle 10:00. Parto alle 9:45, faccio colazione, vedo i compagni come stanno, mi piace portare allegria nello spogliatoio. Mi piace essere uno dei primi ad arrivare per portare un po’ di allegria”.

    Sul mate: “All’inizio non ti piace, quando sei piccolo te lo fanno assaggiare e non ti piace perché è amaro. È diffuso anche in Uruguay. Tante persone posso metterci la menta, alcuni con zucchero, ognuno lo fa come vuolr, non c’è un modo particolare. È un momento per stare insieme con la famiglia come per voi è andare a prendere il caffè”.

    “I nerd forse sono le persone studiose, io non studio, ma sono curioso. Mi piace un po’ tutto. A volte prendo in giro papà perché quando siamo a tavola con persone che non parlano di calcio lui sta in silenzio, mentre io posso parlare di tutto. Mi puoi parlare di cinema, posso parlare di videogiochi con i bambini. L’altro giorno c’era il figlio di Mario, che stava giocando al game boy e gli ho spiegato un paio di trucchi. Mi piace aiutare, parlare un po’ di tutto. Mi piace il mare, sto studiando per fare la patente nautica”.

    Quest’anno voglio andare in Giappone, che è un posto che mi piace tantissimo. Mi piace conoscere culture e religioni degli altri Paesi. Due anni fa sono stato in India e ho conosciuto l’induismo, ho visitato tanti musei”.

    Se una cosa ti suscita curiosità la approfondisci?

    «Se mi piace sì. Sono interessata alle energie e alle meditazioni. Tutti i libri che ho a casa riguardano queste cose».Mi ricordo di quando una volta in aereo ti vidi scrivere su un quaderno nero.«Quello del calcio? Ho un’app dove vedo tutto ciò che riguarda il calcio, statistiche ecc. In settimana quando ho un momento libero mi metto a vedere la squadra avversaria, mi viene in mente qualcosa come una giocata che si può fare la domenica e me la segno. Il giorno prima della partita prendo il mio taccuino e mi scrivo tutte le cose che ho avuto in mente durante la settimana. Mi piace essere una sorta di piccolo allenatore per me stesso”.

    Si riesce a studiare un pochino?

    “Ci sono pochi attaccanti che lo fanno. Deve venire spontaneo. Tante volte i portieri quando vedono un attaccante che sta per tirare si comportano in maniera diversa. C’è chi fa un piccolo salto, chi mette le braccia indietro e perde tempo, c’è chi sta fermo. Mi ricordo la partita dell’anno scorso Napoli-Roma, avevo segnato che quando dovevi tirare vicino al portiere, dovevi tirare alto perché lui non aveva il tempo di arrivare. Ho detto “se devo tirare da lontano, meglio tirare basso. Se devo tirare da vicino, meglio tirare alto”.

    Tuo padre è allenatore, è una passione che ti ha trasmesso lui o è la tua curiosità che ti spinge a farlo?

    “Questa cosa vi voler sapere tutto parte da me. Mi ricordo che da piccolo non immaginavo di arrivare in un posto come Napoli e vincere lo scudetto. Per me era una cosa impossibile, non pensavo di avere la qualità che forse oggi ho acquisito durante gli anni. Ho sempre voluto di più, questa cosa mi ha aiutato. So quali sono i miei limiti, li riconosco e vado avanti sapendo quello che ho. So che qualititivamente i miei compagni sono molto più forti, ma la testa conta e gioco con quella».Anche spalle alla porta, tu ti giri e sai dov’è la porta.«È l’allenamento. Mi ricordo che papà mi diceva da piccolo “Quando stai per tirare in porta guarda la palla non la porta. La porta è sempre lì, non si muove. Se colpisci bene la palla, sai già dov’è la porta”. Giocando sempre impari dov’è”.

    Anche spalle alla porta, tu ti giri e sai dov’è la porta.

    “È l’allenamento. Mi ricordo che papà mi diceva da piccolo “Quando stai per tirare in porta guarda la palla non la porta. La porta è sempre lì, non si muove. Se colpisci bene la palla, sai già dov’è la porta”. Giocando sempre impari dov’è”.

    Scrivi solo di calcio o ti piace scrivere anche altro?

    “A Firenze c’è stato un periodo in cui scrivevo di me, tipo diario. Scaricavo le mie emozioni, momenti belli e brutti fin quando non ho conosciuto Giulia e ho chiuso un capitolo. Il giorno in cui ho smesso di scrivere è stato il giorno in cui mi sono sposato. Scrivevo quando ero un ragazzino e soffrivo perché ero solo e non sapevo starci. Poi ho iniziato a capire che stavo bene, poi quando ho capito che con me stesso stavo bene ho trovato Giulia”.

    Ti capita di rileggere questi pensieri?

    “Ogni tanto ce li ho lì quando faccio la meditazione. Io ho questo piccolo rituale: prima della partita guardo un video di meditazione”.

    Com’è il tuo rapporto con la scaramanzia

    “All’inizio ero fissato con quello. Poi ho iniziato a capire che quanto meno sei attaccato a queste cose, meglio puoi vivere. A vent’anni prima di una partita facevo dei palleggi e se non li facevo come volevo io voleva dire che non stavo bene. L’anno scorso ci stavamo giocando lo scudetto, quindi ne avevo qualcuna in più. Avevo le mie scarpe, le mutande solo per la Champions, la maglietta del campionato”.

    Il braccialetto con il cornetto?

    “Ce l’avevo. Certe volte queste cose il destino te le fa sparire. Mi ricordo per esempio che mia nonna e mia mamma fanno delle preghiere quando ti fa male la testa e non so come ti sparisce il mal di testa. Prima della partita del ritorno contro il Real dico a mamma “sono un po’ agitato, mi fa male la gamba e sono un po’ nervoso”. Lei mi dice “tranquillo, mettiti a pregare che andrà tutto bene. Ho già fatto le mie preghiere per te”. Quando mi tolgo la felpa si rompe il corno rosso, come se fosse un segnale. Vuol dire che ti ha protetto fino ad oggi e il giorno dopo ho fatto gol”.

    Ti piacciono i giochi di società. Il tuo compagno di giochi è Alex immagino.

    “Sì è Alex. Che a volte gioca a giochi che conosce solo lui e mette le regole che vuole lui. L’escape room mi piace tantissimo perché insegui qualcosa, mi sento come se dovessi uscire davvero dalla sala”.

    In un modo o nell’altro nei tuoi discorsi c’è sempre la famiglia. Essere figlio d’arte immagino sia difficile.

    “Non solo nell’ambito del calcio, dove ti guardano e pensano “giochi a calcio perché sei figlio di”, ma anche a scuola. Non avevo tanti amici, tutti mi volevano essere amici per interesse, dicevano che avevo i soldi. Nella mia vita non ho avuto tantissimi amici perché ho saputo riconoscere chi voleva il mio bene e chi i propri interessi.C’è stato un momento in cui mamma mi aveva visto molto triste in Argentina. Era un sabato soleggiato e io ero a casa, mi disse che dovevo uscire di più, provare a fare amicizia. Non è facile essere figlio di una persona importante, perché ti guardano in maniera diversa”.

    Articolo precedenteSpecchia: “Ecco chi sceglierà ADL per la panchina. Calzona? Parole gravi”
    Articolo successivoCaressa: “Napoli, forse lo hai ritrovato. Se è in forma, fa la differenza da solo“