Repubblica commenta duramente il modus operandi della società. Il Napoli non ha una figura forte in società che possa difendere la squadra dai torti subiti, lasciando l’allenatore di turno a denunciare inutilmente ciò che accade in campo. “Dal Dnipro al Milan, dalla beffarda semifinale di Europa League del 2015 ai quarti di Champions appena finiti male contro il Milan – scrive l’edizione napoletana del quotidiano. Tante e dolorose le analogie per il Napoli a 8 anni di distanza. Anche allora ci fu grande ottimismo per il sorteggio e gli azzurri scesero in campo da netti favoriti, per poi scontrarsi invece sul campo con una realtà molto diversa e meno piacevole: in primis a causa dei torti arbitrali subiti. C’è quindi un annerito filo conduttore che lega – a livello internazionale – i due momenti più alti della storia recente della squadra, costretta a pagare di nuovo dazio alla scelta di Aurelio De Laurentiis di tagliare i ponti (nella migliore delle ipotesi snobbandoli) con i vertici di FIFA e UEFA. Il presidente infatti è sempre critico nei confronti delle istituzioni del calcio e non ha mai sentito il bisogno di avere nel suo organigramma dirigenziale una figura di spessore, in grado all’occorrenza di tutelare l’interesse del club, come viceversa sa fare Paolo Maldini in rossonero.
Il Napoli si limita invece all’atto di presenza nel giorno dei sorteggi a Nyon e poi si rifugia all’opposizione, mettendo di fatto il tecnico di turno a battersi da solo contro tutto e tutti. Nel 2015 ci passò Benitez e stavolta è toccato a Spalletti, che s’è lamentato in maniera inutilmente vigorosa per i torti subiti a San Siro e al Maradona contro il Milan, nel silenzio dei suoi dirigenti. E’ il destino di chi ha il coraggio di sedersi sulla panchina azzurra: o è nettamente superiore agli avversari, e ha la forza di stravincere, oppure è condannato quasi in partenza alla resa nella lotta punto a punto (chiedere conferma a Sarri), perché di corto muso vince solo chi ha le spalle coperte dalla società?“