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Io sono vago


Forse per la prima volta sono stato orgoglioso delle parole di Aurelio De Laurentiis. Di come il presidente di una squadra che ha perso la Champions League all’ultima giornata contro un Verona senza motivazioni abbia chiesto scusa ai suoi tifosi per non avere interrotto il silenzio stampa. O di come abbia finalmente annunciato un progetto di restyling dei campi di allenamento e dello stadio delle giovanili del Napoli ora che la squadra Primavera è tornata in Serie A, e anche del fatto che abbia un’idea precisa di come sarà il nuovo Napoli di Spalletti e di cosa non ha funzionato con Gattuso l’anno precedente. Finalmente ha detto la sua sul futuro del calcio senza parlare di piselli a destra e palle scese per fare show, ma ha preso l’argomento seriamente. Sono stato contento persino dei suoi sorrisetti maligni, di quei ghigni che tendono a farlo assomigliare sempre più a un pazzo che crede di essere l’unico genio nella sala e sghignazza contro gli altri prima della fine del discorso perché non riesce a trattenersi.

Ok, è vero, De Laurentiis non ha detto nulla di tutto ciò. E se non mi sono ancora dissociato completamente per scrivere l’introduzione di questo articolo e il mio senso di identità è ancora integro, riconosco anche che per la maggior parte della conferenza stampa (di quasi due ore) non ha semplicemente detto niente di nuovo, nulla che valesse la pena di essere ascoltato. Anzi mi scuso per il trolling dell’introduzione, ma mi serviva per arrivare a evidenziare quanto l’eloquio di De Laurentiis sia stato colmo di retorica, almeno tanto quanto è stato vuoto di contenuti. Certo, il discorso sul ridimensionamento dei costi per un settore così gonfiato da operazioni finanziarie come il calcio moderno è ovviamente condivisibile, e per me lo è anche quello sul futuro del Napoli. D’altronde se non ci siamo qualificati per due anni di fila per la Champions, non credo che con la fantomatica riduzione del 30% degli stipendi lo scenario cambierebbe di molto.


Ma il fatto è che De Laurentiis ha perso il suo tocco. Ovviamente non parlo in senso strettamente imprenditoriale o sportivo, ma vi ricordate di quando lasciava l’assemblea di Lega a bordo di uno scooter con uno sconosciuto urlando «Siete delle merde! Io me ne torno a Hollywood, a fare cinema»? Oppure quando accusava l’UEFA di Platini di corruzione prima delle inchieste che lo hanno provato? O ancora quando dopo una stagione fallimentare ingaggiava un allenatore dell’Empoli che a quasi 60 anni aveva allenato meno di un anno in Serie A proteggendolo dalle critiche? Sono passati poco meno di dieci anni, eppure sembrano eventi che appartengono a un’altra vita, a un’altra linea temporale, a un altro presidente del Napoli. Ora le uniche uscite che gli riescono riguardano i litigi in diretta con la sua radio ufficiale, o quando gli va bene una profondissima analisi sociologica nell’inquadrare i suoi stessi calciatori come «marchettari» semplicemente perché vanno a scadenza, e nel caso gli riuscisse tutto bene incolpare chi va via dal Napoli come responsabile di averlo distrutto («Sarri voleva smontarmi la squadra»).

Pensateci: quando è stata l’ultima volta in cui De Laurentiis vi ha provocato l’orticaria con le sue parole? Non che questo sia un giusto metro per valutare la decadenza di un presidente di una squadra di calcio, per carità, ma nel suo caso potrebbe esserlo. Al di là delle promesse che non ha mai mantenuto (lo stadio di proprietà da 25mila posti, la cantera sullo stile del Barcellona e altre farneticazioni), il personaggio di ADL negli anni è stato altamente ideologico, divisivo. È come se il processo di crescita del Napoli passasse per la sua capacità di polemizzare e speculare sul nulla (sui calendari della Lega, Juve-Napoli dell’ultimo anno, i diritti tv) e di accusare costantemente i poteri forti del calcio – ieri lo ha rifatto parlando di massoneria e arbitri. Insomma in fondo è stato lui a portare nel discorso calcistico italiano l’idea della Superlega prima che diventasse letteralmente virale, ad accusare il problema dei bilanci gonfiati e il problema dei debiti nel calcio europeo, e se il calcio italiano degli ultimi tre anni ha fatto qualche passo politico in avanti rispetto alla ristagno degli anni precedenti non possiamo trascurarne i suoi meriti politici. Il punto è che ora che è nel calcio da quasi vent’anni e continua a dire le stesse cose («il calcio è governato dai vecchi», lui, un giovane baldanzoso di 72 anni) è semplicemente meno credibile. Le sue idee sono meno innovative, e di conseguenza anche le sue applicazioni sportive – nel Napoli, come nel Bari – ne risentono.


È interessante però quando De Laurentiis dice di aver sbagliato a investire nel periodo del Covid e che avrebbe dovuto semplicemente contenere i costi. A questo punto si apre una questione: se a settembre del 2020 davvero ADL credeva che i problemi economici derivanti dal Covid fossero svaniti solo perché si era tornati a giocare (e di conseguenza ha speso 70 mln per Osimhen), non dovremmo interrogarci sulla sua lungimiranza? Insomma sul giudizio della presidenza De Laurentiis ho pochi dubbi: è stata la migliore della storia del Napoli per continuità e prospettive di crescita, per stabilità e ascesa nei confronti del calcio europeo. Ha vinto poco, ma in fondo anche quel poco è tanto se consideriamo che il 36% dei trofei del Napoli sono stati vinti nell’Era Maradona (1984 –> 1991) e un altro 40% durante la presidenza ADL (2004 –> …); ma è anche vero che è dall’addio di Sarri che il Napoli è allo sbando sportivo, dirigenziale, imprenditoriale.

Non vorrei scadere nella critica qualunquista alle ultime scelte (ingaggio ed esonero di Ancelotti, ingaggio e problemi con Gattuso, rinnovi come quelli di Mertens e Mario Rui a cifre ridicole, riserve come Lobotka-Rrahmani-Petagna pagate 50 milioni) di un imprenditore di più di settant’anni semplicemente ricordandogli la sua età (anche perché credo che ADL ne sia pienamente cosciente), ma credo che sia un fattore della decrescita del Napoli. Forse oltre alla sua lungimiranza dovremmo chiederci dove può effettivamente arrivare il Napoli con un presidente regredito così tanto strategicamente. Che confonde quando ha preso Sarri e quando Benitez, e che continua a non avere un’idea chiara di progetto quando dice che i risultati gli hanno dato ragione su Gattuso, e che era stato preso solo «per tamponare l’uscita di scena di Ancelotti». In qualche modo sembra che la fine del suo primo ciclo come presidente del Napoli abbia colto di sorpresa anche lui, che negli ultimi anni si sia abbandonato a quel «conservatorismo di neuroni invecchiati e che tendono a mantenere costanti le loro azioni, e non ne producono di innovative» che lui stesso imputa al potere sportivo. Sembra anche che De Laurentiis non si aspettasse mai un imprevisto, o meglio che non abbia saputo rinnovarsi nel momento decisivo. Come se gli fosse dovuto tutto. Che poi, se ci pensate, è il peggiore difetto di quelli che si credono geni e che ti sghignazzano in faccia a ogni battuta: se anche una singola particella del loro progetto ideale non si spiega nell’ordine giusto, rischiano di mandare tutto a puttane.

 

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