Essere o non essere: e non c’ è mica bisogno di Amleto per starsene dinnanzi alla propria coscienza, in essa specchiarsi, e poi brutalmente chiedersi che vita mai sarebbe. Ma non ci sono risposte, si sa, dinnanzi a quel bivio: di qua c’ è Napoli, e si conosce tutto, avendola vissuta; e di là l’ ignoto, certo verrà luglio e arriverà il mercato ma evitando di fornire certezze. Il pallone ha un rimbalzo sordo, sul destro di Insigne, sa di vuoto pneumatico, di incertezza e quando Mino Raiola è spuntato a Napoli, martedì sera, ufficialmente investito ora del ruolo di manager, hanno lasciato che si profilasse dinnanzi a loro il futuro: e per afferrarlo, ma dolcemente, hanno fissato un appuntamento a casa di Ancelotti, con De Laurentiis e con Giuntoli. Qua la mano, in questo caos poco calmo ch’ è diventata questa città insofferente ed insoddisfatta d’ un destino nel quale non ci sono solo quattro qualificazioni in Champions consecutive, dieci anni d’ Europa, quattro secondi posti alle spalle della più «Grande Tiranna» in circolazione e due coppe Italia e una Supercoppa italiana: c’ è, ci sarebbe, anche un amico «geniale», si chiamerebbe Lorenzino, ha preso a pallonate i libri e si è messo in testa l’ idea meravigliosa di diventare il simbolo della sua Napoli.
TREGUA. Eccoli là, con quel panorama che può anestetizzare, nel salotto di Ancelotti: era lui l’ allenatore dal quale Insigne avrebbe voluto essere allenato, appena tre anni fa; e poi c’ è il direttore sportivo, quelli che si sono detti brutalmente a San Siro, dopo l’ espulsione, rimane materiale archiviato come «dinamiche dialettiche»; e con De Laurentiis non c’ è altro da aggiungere. E’ la prima volta che va in scena un summit del genere, inedito non soltanto a Napoli, ed ha la fisionomia di un incontro al vertice che Lorenzo Insigne deve avere pure con se stesso: per svelarsi, chiarirsi, capirsi, interrogarsi.
IL CLIMA. C’ è una volontà collettiva di uscire dagli equivoci, caratteriali e ambientali, e Ancelotti, che una sola volta nella sua vita si è accomodato con un manager (e fu la mamma di Rabiot), prova a inseguire una privacy nel proprio regno: ma le voci, si sa, Insigne si concede una sorta di tregua nel suo periodo più difficile Si va avanti fino al 2023, poi si vedrà quanto l’ aria sarà cambiata sfilano via anche con le tende e le mura spesse. E Insigne oggi sa del Napoli molte più di cose di quanto fosse cosciente due mesi fa, prima che intorno a lui si scatenassero le fiamme indomabili: ha imparato sulla propria pelle che per essere leader bisogna avere la personalità per sopportare; sa che per essere riferimento assoluto, è indispensabile diventare il modello dal quale attingere, in partita e in allenamento; e sa che Napoli è il proprio paradiso, egualmente, nonostante a volte sembri un inferno.
PROLUNGARE. Insigne sta con Insigne, pronto a concedersi una tregua con quella minoranza rumorosa che l’ ha sistemato al centro della propria contestazione, e ripetutamente, ogni volta che al Napoli è andata male: è il ruolo dei capitani e gli uomini simbolo. E il mercato, che resta indefinito nelle sue prospettive e all’ improvviso può sempre, un giorno, chissà, diventare una tentazione, rimane però per il momento una strada da negarsi mentalmente, semmai anche prolungando quel contratto scadenza 2022 fino al 2023: poi, si sa, si vedrà se un giorno, presto o tardi che sia, fioriranno vecchi o nuovi estimatori; magari a quel tempo sarà cambiata l’ aria e si respirerà quel profumo che arrivava l’ altro giorno nella sala del rendez-vous: sapeva solo di Napoli (almeno fino a prova contraria). Un’ altra primavera. Mare cheto e dubbi che poi magari riemergeranno: essere o non essere?