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    CorSport – Ancelotti già carica la squadra: “Inutile nascondersi, sono qui per un unico motivo”

    Servirebbe un tom tom per muoversi in quegli scaffali in cui c’è tutto un Mondo. Bisognerebbe usare pazienza, partendo dalla prima in fondo al vialone dell’Impero, è una promozione dalla B alla A, sta nascosta dalle ombre dei trofei, però fu utile, a quel tempo (1998) a tracciar un percorso, a indicare la strada, a squarciare l’orizzonte e a (ri)scoprire Carlo Ancelotti sotto le sue nuove forme. Ci vorrebbe il Gps per orientarsi un po’, dall’Italia e poi all’Inghilterra e giù, in Francia e le discese ardite, in Spagna e le risalite, in Germania. Sarebbe necessario, anzi indispensabile, lasciarsi andare ma con cautela, perdendosi tra il Calcio (la maiuscola, please), interpretato in qualisasi sua declinazione. E’ la Storia che sta strisciando al fianco del Napoli ed è racchiusa, idealmente, in quella galleria dei trionfi che mischia i campionati alle Champions e li accumula uno a fianco all’altro, mai di sopra, perché ci sia sempre visibile, e quindi palpabile, quel desiderio folle di rimettersi in gioco, ricominciando daccapo, come se nulla fosse accaduto.

    VOGLIO VINCERE. Ci vorrebbe un interprete per tradurre quelle notti tra Milano (Atene, non Istanbul) e Londra, tra Parigi e Madrid e poi ancora Monaco di Baviera, le tracce sontuose d’una Sovranità assoluta che Sua Maestà, Carlo Ancelotti, lascia fuori dallo stanzone del Vesuvio, mentre incrocia il suo Napoli per presentarsi come se nulla fosse accaduto sinora, e indicar la rotta: «Sono qui per vincere qualcosa d’importante». C’è un viaggio interminabile, cominciato in Usa, al fianco di Arrigo Sacchi, qualcosa d’assai simile a un Maestro a un’Icona a un Totem, e poi sviluppata in perfetta, amabile, straripante solitudine, spostando il proprio calcio e aggiornandolo e plasmandolo a propria immagine e somiglianza, senza ch’evapori mai la folle idea di viverlo, men che meno adesso, mentre il Napoli silenziosamente e quasi devotamente l’ascolta.

    IL MITO. Si può persino restare incantati, scrutando Carlo Ancelotti e provando – almeno per un po’ – a intrufolarsi in questo quarto di secolo in cui il Mito s’è costruito intorno a quella tentazione insostituibile di rinnovarsi: dev’essere stato (pure) questo desiderio a spingerlo verso Aurelio De Laurentiis, che ha scosso le sacre ordinanze del calcio e le ha ribaltate, lasciando che sulla panchina del Napoli s’andasse ad accomodare uno degli allenatori più vincenti, qualcosa che ondeggia in prossimità delle leggende calcistiche, come spudoratamente suggerisce quella bacheca che sa di gioielleria. «Inutile nascondersi….».

    IL SILENZIO. E sono frasi, carezze, sussurrate per sgomberare il campo da qualsiasi banalissimo sospetto, paragonabile eventualmente ad un azzardo: non si è mai stufi di vincere, in questo calcio in cui il conteggio avviene rigorosamente attraverso le conquiste, le medaglie, i successi. Il Regno di Carlo Ancelotti non ha confini, si estende in quest’Europa che gli è appartenuta per davvero e per intero, che ha conquistato nei suoi cinque Paesi calcisticamente più sviluppati: e se è stato bello sino ad ora, anzi bellissimo, il via alla nuova era geologica, questa sua missione inedita al Sud, ha già stabilito, in una frase, una sola, per nulla di circostanza, dove sia stato fissata la prossima bandiera (azzurra): «Inutile nascondersi, sono qui per vincere qualcosa di importante». Perché le stelle non stanno (e non stiano) a guardare.

    Fonte: Corriere dello Sport

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